Se riandiamo alla nostra infanzia, tutti noi abbiamo percorso i primi passi nella fede non a partire dal Vangelo, ma per aver imparato e ripetuto preghiere. Il nostro primo catechismo consisteva nella formula delle orazioni: "l'Ave Maria, il Padre Nostro, il Gloria, l'Angelo di Dio, l'Eterno Riposo". E sono rimaste il lessico più familiare, le parole che sappiamo meglio, che subito vengono al cuore, le più sicure; sono state le prime parole cristiane, saranno probabilmente le ultime.
Io sono stato evangelizzato dalle preghiere che mi hanno insegnato i miei genitori; le preghiere che con loro e mio fratello più piccolo ripetevo tutte le sere e che mi accompagnano ancora. La mia fede è cominciata con la prima preghiera, dando del "tu" a Dio. Questa preghiera, anteriore alla fede, forse è riemersa altre volte, in altre forme, nella vita. Pregare è, quindi, dare del "tu" a Dio, con qualsiasi parola, con qualsiasi sentimento: un "tu" che sale da una sete più profonda dela fede, grido di amore lontano. (...)
Mi è capitato talvolta di ascoltare preghiere all'apparenza "scandalose", gridate al Cielo da chi soffriva l'indicibile, che dicevano a Dio: "Vattene, stammi lontano, esci dalla mia vita, ti rifiuto, perchè sei tu che hai fatto morire mio figlio, sei tu che non l'hai salvato, non ti importa niente di noi, mi hai sempre ingannato!".
Preghriere scandalose come bestemmie e vere. In esse però, io percepivo, sotto le parole brucianti, l'audacia stupenda di un cuore di madre che non si arrendeva alla morte di suo figlio, la meravigliosa arroganza di un cuore di padre per il figlio tragicamente perduto.
Nonostante tutto, la preghiera non è mai disperata: insegue un "tu" che forse si sottrae, ma che c'è; in un cielo che non è vuoto, anche se non risponde. E questo anche se pronuncia parole di fuoco, o maledice la vita, come Giobbe. Si può pregare sempre. La preghiera è sempre possibile, perchè si può offrire a Dio perfino la propria incapacità di pregare: ed è questa la preghiera più umile. (...) Quando poi la preghiera non ha nessuna risonanza nel Cielo, nessuna emozione in noi, si prega lo stesso, mettendo questo frammento di vita vera e appassita, di vita difficile, al centro del dialogo.
Come? Ci sono giorni in cui nel rapporto con Dio non si sente altro che silenzio e distanza, e persino l'assenza del desiderio. Anche in quel momento, se ascolto con attenzione, sento germogliare in me queste parole: "Signore, non ho più nessuna voglia di pregare, non sento più desiderio di te e per alcuna cosa tua. Non solo mi manchi tu, ma anche il desiderio di te. E di questo non sono contento". Preghiera vera, in cui affermo che non sento Dio, che non ho, in quel momento, neanche il desiderio di Dio, ma intuisco in me il desiderio del desiderio stesso.
Vivo l'attesa di un desiderio di Dio - la radice ultima - il gradino più basso e più profondo della preghiera: "Sono lontano da te... e qui non sto bene". E vorrei tanto essere un altro. Vorrei qualcuno, na parola, un angelo, un gesto che mi accenda il cuore e allora pregherò, adesso non ce la faccio". "Ti pregherò Signore perchè prima tu mi allarghi il cuore" (Sal 112,39), ma adesso ho il cuore stretto e non ce la faccio. Questa è la più umile preghiera, quella possibile sempre.
di: p. Ermes Ronchi
da: "Il Messaggero di Sant'Antonio", gennaio 2009, n° 1257
e-mail: info@santantonio.org
sito: www.santantonio.org
Ringrazio "Il Messaggero di Sant'Antonio" per aver ancora una volta dimostrato pazienza e disponibilità nei miei confronti.
Che cosa resta agli altri?
1 giorno fa
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