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Padova. Ha inventato l'anima di Google,
ora guadagna 2.000 euro all'università
Negli Stati Uniti Marchiori rifiutò 50mila dollari al mese: «Mi
sarei venduto». Facebook? «Accresce la rete di conoscenze»
di Alberto Beggiolini
PADOVA (6 dicembre) - Succede. Raramente, ma succede. Dal MIT di Boston il professore Massimo Marchiori nel 2001 è ritornato in Italia, prima a Cà Foscari, poi a Padova. Un cervello in rientro.
Come mai, professore?
«Beh, mi avevano offerto un posto da ricercatore a Venezia, e colsi l’opportunità».
Ma negli Stati Uniti di opportunità non ne aveva avute?
«In realtà me ne stavano proponendo troppe. Questo era il problema».
Mi faccia capire: si racconta che addirittura lei abbia rifiutato uno stipendio da 50 mila euro al mese...
«Macchè, erano 50 mila dollari».
Beh, dollari, va bene. Ma sempre una cifra enorme. Mi perdoni, lei qui quanto guadagna?
«Adesso duemila euro. Quando tornai in Italia, però, a Venezia avevo lo stipendio da ricercatore, meno di mille euro. Effettivamente non tanti».
Una bella differenza. I soldi non la interessano?
«Mi interessano come possono interessare a tutti. Ma sopra una certa soglia, quella che mi consente di vivere come mi sembra giusto, non ci smanio più di tanto. E allora, quando tornai in Italia, mi importava ancora meno. Il fatto è che cercavo di mantenere intatta la mia libertà».
Che negli Usa, con quei stipendi da favola, invece le sarebbe stata negata?
«Più o meno. Vede, di quei 50 mila dollari che si diceva mica tutti sarebbero arrivati dalle Università: la maggior parte l’avrebbe messa l’azienda privata. E per uno come me lavorare in un’azienda significa davvero non avere più lo spazio per lo studio o la ricerca in sè, ma solo per quella parte di ricerca che può essere immediatamente applicata ad uno scopo commerciale. Ecco, mi sembrava che scegliendo quella strada mi sarei "venduto"».
Ovvio che le aziende americane la cercassero: nel ’95, dopo solo due anni dalla laurea, lei aveva inventato Hyper Search.
«Sì, proprio qui a Padova, in un fabbricato poco distante dalla Torre Archimede, la sede di Matematica, per la precisione in un seminterrato».
Allora, ci spiega cos’è Hyper Search?
«Semplice: è solo un algoritmo».
Ah, ecco. Sono al punto di prima. Cos’è un algoritmo?
«È una ricetta, una serie di "passi" da fare per raggiungere un risultato. Stavo studiando le possibilità di creare motori di ricerca, che all’epoca non esistevano ancora».
Ma perchè oggi lei non siede accanto a Page e Brin, i fondatori di Google?
«Perchè quell’algoritmo io lo presentai pubblicamente alla seduta del W3C, il consorzio mondiale del web, senza brevetti, senza preventivamente rivendicarne diritti. Era una scoperta che mi sembrava giusto condividere con tutto il mondo della ricerca sul web».
E quei due studenti di Stanford non videro l’ora di metterci le mani sopra?
«L’hanno fatto loro ma poteva farlo chiunque. Loro almeno non mancano di citare il mio lavoro, che è stato alla base della fortuna di Google».
Ma a lei non arriva nessuna royalty?
«No, assolutamente».
Neanche un panettone a Natale?
«Queste sono abitudini italiane. Dagli Usa, piuttosto, continuano ad arrivarmi proposte di lavoro».
Ancora oggi?
«Ciclicamente sì, da Google, Microsoft, Oracle. L’ultima è stata il mese scorso».
E sempre per cifre da capogiro?
«No, meno, c’è crisi: in novembre mi è stato offerto un posto da 30 mila dollari al mese».
E ancora una volta...
«Ho detto no, grazie. Però stavolta c’ho pensato di più».
Come mai?
«Vede, quando tornai in Italia avevo fiducia in questo "sistema-Paese" e in questa università. Però le mie sicurezze si sono poco a poco incrinate».
Cosa successe a Venezia?
«Che dopo tante promesse, continuavo a restare ricercatore di Informatica, a 970 euro. Per questo sono arrivato a Padova, vincendo un concorso per docente associato».
Un docente amatissimo: i suoi studenti le hanno perfino creato un "fan club"...
«Avevo cercato di dissuaderli, però...».
Quanti sono?
«Circa 150».
E come fa ad interessarli al punto da trasformarli in fan?
«Niente di difficile, cerco solo di non salire in cattedra, e di trattarli da persone».
Almeno da questo punto di vista, le soddisfazioni non le mancano. Allora, le altre "incrinature" che diceva?
«Beh, le ultime in ordine di tempo arrivano dalla riforma, che, si badi bene, non è davvero tutta da buttare. Però ci sono due punti sui quali vale la pena fare battaglie».
Che sarebbero?
«Il decurtamento delle retribuzioni, deciso per altro già dal decreto Tremonti, precedente alla riforma Gelmini. Un ricercatore a 1100 euro arriverà a 900, s’immagini l’appeal che potrà avere la carriera di ricerca universitaria. Succederà che gli studenti più bravi emigreranno immediatamente nell’industria».
E il secondo motivo?
«Il ricercatore a tempo determinato, ovviamente per esigenze di bilancio. Penso che se si fosse voluto davvero incidere sui bilanci, si sarebbe dovuto iniziare a valutare l’operato dei professori ordinari, ed eventualmente ridurre quegli stipendi sulla base della scarsa "produttività", come avviene all’estero».
Torniamo a Google, in un certo senso la "sua creatura". È cresciuta bene?
«Temevo andasse così, non solo Google, ma anche tutti gli altri motori di ricerca. Intendiamoci, è sempre una delle cose più belle del web, ma c’è il rischio complementare che le tecnologie usate siano a scatola chiusa: sono loro a dare le risposte alle domande, a decidere quali fornire per prime e via dicendo. Tra qualche anno ci accorgeremo che info e news saranno solo quelle decise e veicolate dai motori».
Esistono vaccini?
«Solo la consapevolezza. Ma se un tempo erano i genitori a tramandare cultura ed esperienza, a mettere in guardia i figli e a spiegare loro "la vita", oggi, almeno per il web, la procedura s’è capovolta, e quindi non c’è proprio nessuno a guidare i ragazzi in rete. Finiscono per imparare tutto a loro spese».
E Facebook?
«È un aspetto positivo di internet: qui almeno la gente interagisce».
Forse a scapito dei rapporti "reali"?
«Mah, anche quando si inventò il telefono si diceva che la gente avrebbe disimparato i rapporti umani. L’unica considerazione valida è che bisogna sempre evitare gli eccessi, per il resto anzi Facebook accresce la rete di conoscenze».
Fatto che fa gola ai pubblicitari?
«Fin troppo: sono note le "invasioni virali" che la pubblicità invia ad un utente di una rete sociale, e quindi ai suoi amici condivisi, ed ognuno di loro ad altri e via dicendo. Un vero contagio infinito, una super catena di Sant’Antonio. È il messaggio pubblicitario veicolato da un amico, pensi che impatto!».
Professore, lei adesso a cosa sta lavorando?
«Soprattutto interazioni uomo-macchina nei motori di ricerca, motori che sono ancora abbastanza "stupidi", non in grado di fare associazioni che fa un bambino di 5 anni: c’è ancora tanto da fare. E poi studio i sistemi sociali, persone e comportamenti attraverso il web».
Non sembra matematica...
«È vero, quasi "socinformatica", a metà tra il tecnologo e il sociologo. Una figura ormai attuale e necessaria».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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ma...
Scelte personali sicuramente rispettabili.
Sono convinto che sia meglio che un ricercatore italiano resti in Italia piuttosto che se ne vada all'estero.
Certo che però mi resta il dubbio sul perchè lo Stato si debba sobbarcare il costo di pletore di ricercatori che poi non depositano nemmeno i brevetti o rivendicano i diritti d'autore...
Si fa tutto solo per amore della scienza?
E poi all'estero costruiscono imperi su questa "libera conoscenza" pagata dallo Stato Italiano.
Qualcosa mi sfugge.
Mah.
commento inviato il 07-12-2010 alle 18:28 da mah...
la libertà
tempo fa si diceva...chi naia non prova libertà non aprezza!!!
ma la libertà...non ha prezzo!!!
commento inviato il 07-12-2010 alle 16:52 da eliana
Non sono d'accordo con chi generalizza, qui nei commenti: lui non ha detto che chi accetta ciò che lui non ha accettato si vende. Ha solo detto che è la sensazione che avrebbe avuto lui per se stesso, per la sua vita, cioè che avrebbe venduto la sua libertà di ricercare in autonomia ecc. Scelta personale e non giudicabile, a mio avviso, ognuno decide cosa è meglio per sé. Più soldi o più possibilità di autonomia nel lavoro. La cosa che va evidenziata è che persone meritevoli non vengono in tutto il mondo valorizzate allo stesso modo: la mobilità lavorativa doveva essere la possibilità di scegliere, a volte invece chi non può permetterselo deve fare "scelte" obbligate.
commento inviato il 07-12-2010 alle 10:03 da Miky
risposte
@igorazzo -
Il punto non è che il sistema privato non contribuisce a creare ricchezza e posti di lavoro, ma che, in quanto privato, lo fa badando al proprio tornaconto. Al contrario del settore pubblico. Se vogliamo ribaltare anche queste elementari ovvietà allora è facile far cadere il commento sul tema dello stipendio. Cosa significa "avrebbe potuto chiedere a google o microsoft un stupendio di 2000 euro al mese, sono sicuro gliel'avrebbero concesso: in questo modo forse non si sarebbe sentito venduto"? Non è il fatto di guadagnare 50.000 o 2.000 euro, ma il fatto di percepirli da un privato. Mi spiace, ma è un commento che va spesso fuoritema, senza senso.
@dubbioso -
Non per difendere acriticamente, ma in cosa risulta poco credibile e ridicolo addirittura? Perché non venera il dio denaro? Allora dovresti dargli del blasfemo!
@Franco -
Ti dice niente l'importanza dell'open source?
commento inviato il 07-12-2010 alle 09:44 da Mauro
congratulazioni ma....
Congratulazioni al professore per i grandi traguardi che ha raggiunto e per l'importante scelta di vita controcorrente. Non sono tuttavia d'accordo con la motivazione del "venduto", se avesse scelto di lavorare nel settore privato. Infatti il settore privato contribuisce a creare posti di lavoro e ricchezza per tutta la societa' senza contare il fatto che la maggior parte delle persone lavora nel settore privato e fa del proprio meglio per se stesso, la famiglia e indirettamente per la società intera (di norma). Il professore avrebbe potuto chiedere a google o microsoft un stupendio di 2000 euro al mese, sono sicuro gliel'avrebbero concesso: in questo modo forse non si sarebbe sentito venduto e ora (forse) i prodotti microsoft/google sarebbero migliori e tutti ne beneficerebbero - "only a different point of view".
commento inviato il 07-12-2010 alle 07:57 da igorazzo
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